Di Marialessandra Panozzo
Ho letto questo libro della Murgia e mi è piaciuto tantissimo.
In realtà l’ho ascoltato come audiolibro, perché, nei miei lunghi viaggi in macchina, mi piace farmi leggere delle storie. Era letto dalla Murgia stessa e quindi era particolarmente intenso e affascinante per l’ardore che l’autrice metteva nell’interpretarlo.
E’ un libro che dovrebbero leggere tutte le donne, è un libro che dovrebbero leggere tutti gli uomini, ma soprattutto è un libro che dovrebbero leggere i giovani. Perché è un libro che ti fa capire quanto il nostro comune linguaggio sia ancora intriso di maschilismo, di pregiudizi sessuali, di disconferma del femminile anche quando non sembra. Un libro che ti fa riflettere.
La Murgia fa un’analisi molto intelligente e precisa di tutti i luoghi comuni del linguaggio in cui viene relegata la donna, un analisi sociologica e politica di come le parole vengano utilizzate per mantenere uno stato di sottomissione e controllo del sesso femminile.
L’autrice analizza attentamente la stampa quotidiana, le trasmissioni televisive, le frasi che siamo abituati ad utilizzare. Nei vari capitoli del libro affronta il tema della sessualità, della professionalità, della famiglia e della maternità, riportando in ogni campo esempi illuminanti su quanto la nostra società sia ancora lontana dalla parità di genere.
Dimostra, ad esempio, come nel nostro linguaggio le capacità professionale di una donna sono sempre avvicinate alla sua capacità di essere madre, come se la professionalità femminile avesse un valore solo quando è abbinata a un maternage che funziona. Mentre un uomo vale per il solo fatto di avere una professione importante, per la donna questo non è sufficiente se non dimostra di riuscire nel frattempo ad essere anche una buona madre. Si fa l’esempio dell’astronauta Samantha Cristoforetti chiamata spesso astro-mamma e intervistata ripetutamente sulla sua capacità di gestire carriera e figli.
Lo stesso trattamento non viene fatto per il suo collega Luca Parmitano, anche lui padre ma non per questo definito astro-babbo.
Ad un maschio viene riconosciuta la sua professionalità in quanto tale, per una donna la professionalità vale solo se coincide con la capacità di gestire la famiglia.
La scrittrice ci fa notare come un uomo sposato con figli che si occupa solo della carriera al 100% è considerato un fantastico manager, mentre una donna nella stessa situazione è considerata poco femminile e spesso anche un po’ stronza.
Nelle reti televisive la figura femminile è spesso relegata ad essere velina o ballerina, ma anche quando ci sono giornaliste professioniste il loro ruolo non è mai centrale, non sono mai le protagoniste della trasmissione, non sono quelle che dicono la loro opinione sui temi sociali o politici. Spesso la giornalista è soltanto la conduttrice del programma, la moderatrice della discussione: insomma la padrona di casa, che ha il compito di agevolare le discussioni degli uomini ,fare domande agli uomini , rendere piacevole l’incontro fra uomini ,senza mai dire quello che è il suo pensiero.
Anche le giornaliste che scrivono sui quotidiani sono quasi sempre sono relegate ad affrontare e sviluppare ambiti marginali: cronaca, costume, società: difficile trovare un articolo di economia scritto da una donna o un articolo di politica scritto da una donna .
Senza parlare dell’arte, dove il femminile esiste così poco che la prima mostra a Palazzo Strozzi a Firenze di una donna è stata quella di Marina Abramovic nel 2019 !!
E per finire: mi chiamavano “signorina” le pazienti in ospedale quando a 28 anni facevo le visite insieme ad mio collega maschio coetaneo rigorosamente chiamato “dottore”… mi chiamano ancora “signora” alcune pazienti che vedo ora, che ho i capelli grigi, quando le visito….