di Alessandro Gambugiati
La mia formazione di psicologo e psicoterapeuta mi spinge a riflettere su tutti i fenomeni che caratterizzano l’esperienza umana, nessuno escluso. Durante il mio percorso formativo ho scoperto che non esistono argomenti giusti o sbagliati da trattare, ma che esistono solo modi più o meno seri di occuparsi di un dato argomento. Premetto fin da subito che con questo mio articolo non intendo fornire verità ma stimolare il lettore alla riflessione personale, una pratica che al giorno d’oggi dovrebbe essere recuperata, valorizzata e incoraggiata.
L’importanza di avere dei maestri di qualità
La qualità delle riflessioni che sono in grado di svolgere oggi è stata in gran parte influenzata dai maestri psicoterapeuti che mi hanno insegnato sia a pensare che a lavorare. Da Freud in poi, infatti, sappiamo che il mestiere di psicoterapeuta non può essere imparato soltanto mediante la lettura dei libri: è un mestiere che deve essere trasmesso.
Devo molto ai miei maestri perché nel condividere con me la loro esperienza clinica alcuni di loro hanno condiviso anche la loro visione del mondo, e se alcuni di loro non parlavano apertamente del loro punto di vista, mi offrivano comunque l’occasione per intuire o dedurre ciò che pensavano.
Se la laurea in psicologia mi ha permesso di creare una struttura psicologica con le radici del cervello ben piantate in terra e a non dare mai niente per scontato, l’eredità dei maestri mi ha permesso di accedere a conoscenze che per loro natura richiedono una trasmissione orale.
L’importanza degli “aggiornamenti di sistema”
Più nel particolare, la preparazione delle tesi di laurea in etnopsichiatria ha rappresentato per me una specie di iniziazione alla fase adulta che la “supposta maturità” conseguita nelle scuole pubbliche non aveva potuto darmi o che almeno con me non aveva funzionato come avrebbe dovuto. Durante la compilazione della tesi ho scoperto l’esistenza di culture umane ben più attente alla felicità e alla crescita dell’individuo rispetto a quella occidentale: scoprire che la cultura nella quale ero nato non era così evoluta, come invece avevo creduto fino ad allora, fu un’esperienza traumatizzante!
Già da tempo ero predisposto al pensiero critico, ma senza l’etnopsichiatria avrei impiegato molto più tempo per comprendere alcune delle logiche del mondo. Da allora il mio pensiero si è organizzato intorno ad un nuovo “sistema operativo”, ovvero l’insieme delle credenze che utilizzo stabilmente per percepire il mondo e per operare le mie scelte di vita.
La specializzazione in psicoterapia psicosintetica che ho conseguito nel 2010 ha dato una ulteriore spinta al processo di disidentificazione dalla mia parte occidentale, con la quale ho fatto pace senza smettere però di vigilare e di sottovalutarne gli aspetti meno desiderabili.
Dove c’è parola c’è mondo
Lavorando quotidianamente e in modo massivo con tecniche psicologiche che hanno come base la tecnica del dialogo, ho potuto imparare una gran quantità di parole che mi permettono di percepire il mondo in modo nuovo e di osservare gli effetti che queste parole hanno sulla mia vita.
La pratica professionale mi aiuta infatti, e non poco, nel processo di rigenerazione del mio cervello: mentre facilito nei miei pazienti e nei miei clienti la relazione con le loro tematiche evolutive, posso vivere una parte della loro vita mediante il processo empatico, vedere il mondo coi loro occhi e aggiungere parole sempre più adatte per esprimere in modo capillare ciò che sperimento.
La programmazione dei cervelli
Sono molto interessato al tema della programmazione neuro-linguistica che ognuno di noi riceve fin dalla nascita dalla famiglia, dall’ambiente, dalla scuola, dai media, ecc., una programmazione che facilita la gestione dei popoli ma che non sempre è al servizio della gente.
Il mio ruolo di psicoterapeuta mi consente di osservare questa programmazione senza giudicare coloro che la utilizzano per governare e al contempo di valutare gli eventuali effetti negativi che questa programmazione è in grado di generare.
L’unica via seria per migliorare questa programmazione sarebbe fornire alle persone le chiavi di accesso alla loro psiche profonda per riprogrammarla in base ai loro progetti di vita, che in genere significa aiutare gli individui, le coppie e le famiglie ad avere relazioni interpersonali soddisfacenti e a trarre il massimo beneficio dalle attività che svolgono nel quotidiano.
La possibilità di muoversi all’interno di questa programmazione è associata alla qualità della consapevolezza dei nostri genitori, al corredo genetico di cui dispone la nostra famiglia di origine e alle opportunità offerte dall’ambiente nel quale siamo cresciuti.
Coloro che sono interessati a indagare la programmazione alla quale mi riferisco possono osservare la qualità dei circa 60.000 pensieri che passano per la loro mente in un solo giorno di vita! Con un po’ di allenamento è possibile osservare una parte cospicua di questi pensieri, specie se si utilizzano le tecniche di scrittura o altri strumenti tecnologici per creare un archivio consultabile.
La psiche come giungla infestata
Non credo che sia eccessivo affermare che la nostra psiche è come una giungla infestata di pensieri e credenze non sempre utili e molto spesso basati su supposizioni non radicate su dati di fatto.
Noi esseri umani, infatti, siamo capaci di utilizzare le credenze che qualcuno di autorevole ci ha suggerito e se le utilizziamo un certo numero di volte esse diventano il nostro “libro delle verità”, ovvero tutte quelle credenze che utilizzeremo come vere quando non avremo il tempo di riflettere a sufficienza su di esse. In altre parole, l’essere umano non soltanto è programmabile, ma può anche esserlo a sua insaputa (es. attraverso la manipolazione della comunicazione).
Disponiamo infatti di un sistema di percezioni dotato di diversi filtri (le credenze), di un sistema di credenze (libro delle verità) e di un sistema di interpretazione della realtà (credenze su credenze) dei quali siamo solo in piccola parte coscienti: solo una irrisoria parte della psiche (5%-10%), infatti, è associabile al concetto di coscienza, mentre la parte più cospicua (90-95%) è inconscia.
Allucinazioni individuali e collettive
Qualche anno fa, durante una dolorosa fase di risveglio, mi accadde di provare a confrontarmi con conoscenti su alcune tematiche che mi sembravano significative e che ritenevo potessero essere discusse. Interruppi immediatamente l’esperimento quando mi accorsi che per qualche motivo gran parte delle persone che ritenevo ragionevoli non solo non erano in grado di affrontare un confronto tra idee diverse mediante un dialogo sereno, ma sembravano possedute da un dogma di fede che non poteva in nessun modo essere messo in discussione e questo a prescindere dal livello di istruzione a cui queste persone avevano potuto accedere.
Successivamente ho scoperto che in alcuni enti, tra i quali il Tavistock Institute, da decenni si studiano tecniche per inserire nei cervelli delle persone delle convinzioni senza che gli strumenti del buon senso che la natura ci ha fornito alla nascita possano essere coinvolti.
Le voragini aperte dalla fisica quantistica
Con la nuova fisica, e più in particolare mediante l’utilizzo dei microscopi elettronici che ci permettono di misurare una parte di ciò che esiste, abbiamo scoperto che noi esseri umani siamo in grado di percepire soltanto il 5% di ciò che è presente nella nostra realtà.
In altre parole, la maggior parte delle persone basa tutta la propria vita, o quantomeno formula le scelte più importanti, su certezze messe assieme analizzando molto superficialmente solo una minima parte di ciò che esiste!
Inoltre alcuni autori affermano che la maggior parte degli esseri umani potrebbe essersi “evoluta” con caratteristiche tali da risultare molto facilmente manipolabile e che solo una piccola parte della popolazione mondiale possieda le caratteristiche per fare buon uso del pensiero critico.
La nascita del termine “complottismo”
La parola “complottismo” nasce all’indomani della uccisione di JFK: da allora tutte le teorie alternative alle tesi ufficiali e i tentativi indipendenti di comprendere i motivi della sua morte vengono bollati come “teorie del complotto” e pertanto svalutati anche se basati su studi approfonditi e su prove supportate da evidenze inconfutabili.
Eppure ci sono aspetti dell’assassinio JFK che il grande pubblico ancora oggi ignora: il fatto che JFK sia stato ucciso in modo cruento davanti agli occhi di tutti proprio alcuni giorni dopo aver tenuto un discorso pubblico nel quale aveva denunciato l’operatività di una organizzazione segreta, di cui lui non aveva il controllo; il fatto che il cecchino responsabile della sua esecuzione sia stato ucciso dopo pochi giorni come accade a seguito delle esecuzioni operate da killer professionisti, sono solo due degli aspetti che dovrebbero far riflettere ancora oggi.
Il potere della tecnologia
Una ulteriore prova del fatto che ancora oggi esiste in USA uno stato antagonista è la censura che nel gennaio 2021 è stata esercitata sul presidente USA Donald Trump e sul suo team, ai quali, sebbene fossero ancora in carica, vennero chiusi tutti i profili Facebook e Twitter.
Per quanto Donald Trump possa risultare più o meno simpatico, il fatto mette in evidenza che coloro che gestiscono i social hanno attualmente più potere del Congresso degli Stati Uniti d’America e del Presidente regolarmente eletti dal popolo come garanti delle leggi e della Costituzione. L’evento è stato talmente eclatante che ancora oggi se ne discute molto in USA.
Tra l’altro si tratta di un evento che fu fortemente criticato anche dai leader europei, che alzarono una levata di scudi sul fenomeno, probabilmente per il fatto che lo stesso trattamento avrebbe potuto in futuro abbattersi anche su di loro!
Dal complottismo alle “fake news”
Dai tempi dell’assassinio di JFK, il processo di etichettamento viene utilizzato regolarmente per screditare le tesi scomode, quelle che in qualche modo propongono una narrativa non allineata alla versione che si intende far passare per autentica.
In questa prospettiva attualmente è possibile bollare come fake news (notizie false) non soltanto le notizie non vere che per loro natura rischiano effettivamente di creare danni molto gravi, ma anche di svalutare con durezza e stigma sociale le tesi non gradite al sistema.
Uno dei temi centrali di questo aspetto è la gestione dei conflitti di interesse tra pubblico e privato: chi controlla i controllori? Cosa accade quando una multinazionale che genera profitti riesce ad avere più potere contrattuale di uno stato?
L’importanza delle regole
Personalmente non sono contrario all’esistenza di un ente che possa regolamentare ciò che può e ciò che non può passare in televisione o su altri media ad una certa ora del giorno: in una società davvero evoluta e ben rodata su valori democratici le regole sono importanti e devono essere rispettate.
Ma cosa accade se le regole smettono di essere al servizio dell’essere umano? Se, per esempio, un opinion leader indipendente cerca di fornire una prospettiva alternativa a quella che il sistema desidera far accettare su un dato argomento, chi può garantire che l’eventuale censura è stata operata per fini etici o per soddisfare altre istanze?
Spesso le cose stanno all’opposto di come qualcuno cerca di farle passare ed è possibile fare delle scoperte interessanti ascoltando senza pregiudizi coloro che vengono bollati come complottisti e terrapiattisti.
Il complottista e il terrapiattista: il profilo psicologico
Più nel particolare, le due definizioni più comuni di complottista è 1) organizzatore di complotti e 2) chi tende a interpretare ogni evento come un complotto o parte di un complotto. Il complottista è un individuo che si forma delle credenze sul sentito dire, senza controllare con cura le fonti e i fatti certi associati ad un dato evento.
Il terrapiattista, invece, è un complottista radicale che è convinto che la forma della terra sia piatta anziché sferica e nonostante le evidenze che gli potrebbero derivare anche soltanto dall’acquisto di un buon binocolo: osservando l’orizzonte è infatti possibile osservare la forma sferica del pianeta nel quale viviamo.
Credo tuttavia che sia il complottista che il terrapiattista siano vittime di un durissimo stigma sociale senza che nessuno si sforzi per comprendere le ragioni del fenomeno. Il terrapiattista, per esempio, ha molto probabilmente perso totalmente la fiducia nell’autorità, fino al punto di mettere in discussione tutto, incluse le tesi più ovvie.
Dietro ad un complottista o ad un terrapiattista potrebbe esserci una fanciullezza influenzata molto negativamente da una figura paterna vissuta come profondamente ingiusta.
A seguito di questo modello disfunzionale, nella persona potrebbe essersi radicata una mancanza di fiducia cronica verso qualsiasi legge o regola, mancanza di fiducia che il soggetto finisce per spalmare sul sistema nel suo insieme buttando via sia il bambino che l’acqua sporca.
Come conseguenza al loro stato psicologico sia il complottista che il terrapiattista perdono di lucidità e nel farlo perdono progressivamente anche di credibilità.