Ecologia del cancro
A cura di Alessandra Panozzo
Nell’estate del 2011 le acque del lago Michigan divennero cristalline, dall’ammirazione iniziale si passò presto a una grande preoccupazione: un lago che diventa trasparente come una piscina non è un buon segno.
I biologi scoprirono che un mollusco, solitamente innocuo, aveva trovato le condizioni di vita ideali per riprodursi in modo esagerato distruggendo così tutta la flora residente abitualmente nel lago. Lo stesso mollusco cresce e vive nei laghi dell’Ucraina coabitando, pacificamente, con gli altri ospiti naturali di quelle acque.
Questo racconto l’ho letto su un numero della rivista Internazionale, che alla fine rifletteva sul concetto di aggressività relativa di un organismo a seconda dell’ambiente in cui si trova.
E’ il concetto di “terreno” della medicina omeopatica: il problema non è tanto quale batterio ci ha fatto ammalare, ma perché ci siamo ammalati. Ovvero perché il nostro “terreno” (sistema immunitario) si è indebolito al punto di lasciarsi aggredire da un microorganismo. Se diventiamo allergici ai fiori nei prati, il problema non sono i fiori ma noi stessi che creiamo un eccessivo stato di allarme verso molecole innocue. Vaccinarsi non serve a nulla e non risolve il problema, anzi spesso lo aggrava, perché la causa della malattia non sono i fiori ma noi stessi e il nostro terreno. Perché sono diventato allergico ad una sostanza che tutti contattano senza problemi?
Lo stesso vale per i tumori: le cellule cancerogene sono più o meno invasive anche a seconda dello stato energetico del nostro terreno. Noi conviviamo con milioni di piccoli cancri: il meccanismo di replicazione cellulare, infatti, è così delicato che continuamente si formano cellule impazzite/cancerose che sono però immediatamente distrutte dal nostro sistema immunitario.
Secondo molti autori, questo vale anche per le cellule metastatiche che invadono il corpo e disseminano il cancro in organi lontani da quello originario.
In medicina infatti non è ancora chiaro chi svilupperà metastasi e chi no, anche se si conoscono tumori più aggressivi e altri meno, non si può prevedere il rischio per ogni paziente. E allora la chemioterapia viene prescritta a tutti, anche se sarebbe servita solo a poche persone.
Alcune recenti ricerche hanno dimostrato che il tumore libera cellule cancerogene in continuazione, eppure solo pochi pazienti si ammalano e solo pochi organi vengono colpiti dalle metastasi. Il problema dunque non è quanto un cancro è aggressivo, ma come il corpo reagisce a questa aggressione: quanto è possibile che si crei un equilibrio fra la massa tumorale e l’organismo in cui risiede?
La malattia va vista come un ecosistema, è l’interazione fra diversi organismi, quello ospite e quello estraneo all’ospite.
Lottare solo distruggendo “l’aggressore” (antibiotici, chemioterapia) senza considerare e rafforzare l’organismo ospite è una battaglia senza logica e senza speranza.